I gioielli. L’antichità e il Medioevo – parte 1

I gioielli. L’antichità e il Medioevo – parte 1

Eccoci qui con il secondo appuntamento di “dal buco della serratura”.

La scorsa settimana abbiamo parlato di un famoso artista dell’avanguardia del Novecento: Renè Magritte.

L’argomento di oggi è del tutto differente, si parlerà di un tema all’apparenza frivolo ma particolarmente caro (e importante) per noi donne: i gioielli.

Buona lettura!

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Fin dall’antichità, il gioiello fu considerato un tratto distintivo e testimone di un’elevata condizione sociale, tanto da diventare un elemento discriminante delle rappresentazioni artistiche.

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Il primo popolo che produsse dei monili degni di essere riconosciuti come tali è quello egizio. La lavorazione dell’oro, dell’argento o di qualsivoglia metallo prezioso presupponeva una certa abilità e una raffinata tecnica, caratteristica che non potevano possedere popolazioni piuttosto semplici.

Gli egizi si distinsero soprattutto nella produzione di ricchissimi collari realizzati con la raffinata tecnica a cloisonné che consisteva nella creazione di un alveolo sul supporto del metallo prezioso, in cui venivano incastonate paste vitree o pietre preziose. La loro lucentezza era riservata solo agli dei e ai faraoni; infatti i gioielli servivano ai sovrani per evidenziare maggiormente il loro legame con le divinità, rendere più evidente la natura divina. Nelle stesse rappresentazioni murarie, i gioielli sono sempre utilizzati come attributi distintivi dei potenti faraoni.

Come se non bastasse, le pietre venivano poste in relazione alle stelle e spesso era attribuito a metalli come l’oro o a metalli litici ritenuti rari, tra cui la giada in Cina, il significato dell’immortalità. Non sorprenderà di certo, in seguito a questa informazione, capire perché nei corredi funerari di personaggi aristocratici compaiano gioielli.

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Numerosi sono i reperti pittorici in cui compaiono anche questi preziosi monili, come ad esempio un frammento proveniente da Mari (XVIII secolo a.C.) e conservato al Louvre, dove i sacerdoti babilonesi sfoggiano collane e monili che subito rivelano la loro appartenenza ad un ceto privilegiato in quanto personaggi in stretto contatto con le divinità.

Ma non sono solo egizi e babilonesi estimatori di questi accessori preziosi: moltissime altre civiltà ne hanno prodotti o li hanno fatti diventare parte integrante nelle loro opere d’arte.

Un esempio importantissimo e ancora piuttosto misterioso è la “Dama di Eche”, conservata presso il Museo Archeologico Nazionale di Madrid, la cui attribuzione oscilla tra la civiltà greca, quella fenicia, punica o iberica. Una delle caratteristiche principali di questa scultura è la presenza di enormi orecchini e di una collana piuttosto vistosa, finemente lavorata e ricca di particolari. Tutto ciò evidenzia l’importanza che le civiltà antiche hanno, fin da subito, dato ai gioielli.

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Inoltre, due sono gli ambienti che costantemente si ritrovano adornati dai monili: quello della rappresentazione della divinità e quello funerario. Infatti, anche nell’ ambito della civiltà etrusca abbiamo molti esempi che avvalorano tale tesi: il più importante è un coperchio bronzeo che rappresenta il defunto con tanto di bracciale e torchon, la collana a tortiglione che ritornerà nella statua del “Galata morente”.

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In ambito romano, invece, la rappresentazione scultorea e pittorica dei gioielli risulta piuttosto scarna e rara, nonostante siamo a conoscenza di una cospicua produzione orafa. Un esempio di pittura è il “Venere e Marte” proveniente da Pompei e conservato presso il Museo Archeologico di Napoli. Da ricordare, però, è l’azione delle leggi suntuarie, che regolamentavano la moda già ai tempi dell’Impero, le quali devono aver avuto effetti non tanto sull’effettiva pratica quotidiana quanto sulle rappresentazioni più o meno ufficiali, votate ad una certa sobrietà.

 

I Gioielli nel Medioevo

Con l’avvicinarsi della fine dell’impero romano, i nuovi influssi provenienti dall’Oriente, con Bisanzio città guida, travolgono e cambiano radicalmente l’atteggiamento del patriziato nei confronti dei gioielli. Il nuovo concetto di ostentazione lussuosa prende a poco a poco piede.

Ma l’uso dei materiali preziosi non trova successo solamente nell’impiego dell’oreficeria, anche nella realizzazione delle tessere dei mosaici, di cui i bizantini possono definirsi massimi esponenti. La loro voglia di donare ieraticità e atemporalità li porta ad utilizzare l’oro per i fondali dei mosaici: il più alto esempio è sicuramente il mosaico di S.Vitale a Ravenna, dove gli imperatori Giustiniano e Teodora vengono rappresentati, non solo con un fondo aureo, ma anche riccamente abbigliati, adorni delle più preziose pietre; basti notare il copricapo di Teodora che abbonda di perle.

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Ma anche le altre popolazioni barbariche che progressivamente si stanziarono nei terrori tori dell’Europa centrale, contribuirono a diffondere l’arte dell’oreficeria. I longobardi in particolar modo, essendo popolazione nomade, aveva una ricca e sofisticata tradizione nell’ambito di tale produzione lussuosa, e i suoi influssi sono ravvisabili anche nelle chiese lombarde, come nelle mura di S. Lorenzo a Milano.

Variegate sono le tecniche: opus interassile (ovvero il traforo della lamina d’oro), la tecnica cloisonné, lo sbalzo di provenienza romana, la smaltatura chemplevè ( con la lamina scavata) che lascia in rilievo il contorno delle parti colorate, e il basse taille, nel quale lo smalto viene colorato in più strati.

Il medioevo amerà particolarmente le superfici traslucide degli smalti e dei metalli, la vistosa cromaticità delle pietre non solo per evidenziare la potenza del sovrano, ma anche per rendere visibile il potere divino, che si manifestava per mezzo di essi.

Meravigliose spille per chiudere i piviali, corone, arredi liturgici risplendono nella loro lucentezza e mostrano tutta la loro ricchezza.

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A partire dal ‘300, i gioielli appariranno con maggiore frequenza. Le vergini di Pietro Lorenzetti e di Simone Martini portano spille a cerchio. Anche le sante non sono esenti da tali ornamenti, in particolare Santa Chiara di Simone Martini che indossano un’aureola riccamente decorata.

Andando avanti nel tempo, con l’avanzare del Gotico Internazionale, le classi aristocratiche sentiranno sempre più il bisogno di enfatizzare la loro esclusività di casta.

Bottoni, ricami in oro, perle e pietre preziose orneranno le vesti femminili e grosse cinture a borchie quelle maschili; foglie d’oro verranno inserite anche nei Libri d’Ore e in altri fulgidi esempi di libri miniati.

Tutto ciò si può considerare una vera a propria moda dell’epoca, vista anche l’omogeneità delle produzioni artistiche di questo periodo, che finì per essere assunta come definizione di uno stile italianeggiante, debitore della lezione senese del ‘300, anche se ormai si era giù entrati nel decennio successivo.

 

photo credits: Ilaria, www.settemuse.it, Ramon Oria, commons.wikimedia.org, raffaele pagani, scoutmisilmeri2.altervista.org

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Giovane studentessa di storia dell'arte. Sognatrice indefessa con la passione per i libri, il teatro, il cinema in bianco e nero e i viaggi. Nel tempo libero adoro nutrirmi di storie.

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