Italiani all’estero, cosa ci manca?

Italiani all’estero, cosa ci manca?

Sono ormai sei anni che vivo all’estero e, nonostante mi sia ambientata molto bene, nonostante abbia un lavoro stabile e molte possibilità davanti a me, provo un senso di nostalgia ogni volta che atterro a Fiumicino e percorro le strade che mi porteranno in quel pezzo di Italia che per anni ho chiamato (e che continuo a chiamare) casa.

Come molti miei coetanei italiani all’estero in questi ultimi anni, anche io ho scelto di andarmene e vedere cosa il mondo al di fuori dei confini nazionali ha da offrire.
E come molti miei coetanei italiani all’estero, sono afflitta da un leggero mal di vivere che ci affligge qualora le provviste di cibo che ci sono state spedite in un pacco da giù o ci sono state portate sfruttando fino all’ultimo grammo di quei 20kg di bagaglio a mano finissero.

Parlando con qualche amico, mi sono resa conto che, non importa dove siamo, non importa quanto ci piaccia la nostra nuova nazione, a tutti mancano bene o male le stesse cose.
Ho così deciso di coinvolgere il maggior numero di italiani all’estero possibile, grazie all’aiuto dei social network e ho avuto modo di stillare una piccola classifica in ordine sparso delle nostre più grandi mancanze.

Al primo posto, superando anche animali domestici (che si piazzano sul secondo gradino del podio), famiglia e amici, troviamo il cibo.
Non importa che la nostra nuova nazione sia rinomata in tutto il mondo per le sue prelibatezze culinarie, quello che davvero ci manca è un pezzo di pizza al trancio.
Ci manca il bar dove fare colazione la mattina con un cornetto caldo e un cappuccino leggendo il giornale, o dove prendere il caffè al banco perché proprio non abbiamo tempo di fermarci, o dove andare per l’aperitivo – con un buon Spritz e un’infinità di stuzzichini.
Sentiamo la mancanza dello squacquerone, del 5e5, della granita con la brioscia, del vino che si trova a poco dal contadino e che sicuramente anche altrove lo faranno buono, ma non è lo stesso.

I più romantici hanno ammesso di sentire nostalgia del traffico di Roma, di quella sensazione di stress che alla fine ci ricorda un po’ casa, o dei vecchietti nella sala d’aspetto del dottore – così aggiornati sulle dipartite del paesello che neanche i necrologi funebri dei giornali locali.

Ci mancano le due chiacchiere di cortesia da scambiare con il cassiere al supermercato e il capire conversazioni random senza doversi sforzare. Ci manca parlare la nostra lingua, l’afferrare quelle sfumature che in altri contesti o non siamo ancora in grado di capire o non riescono ad esprimere appieno quello che vogliamo dire.

Ad alcuni mancano il mare, che c’è in tanti posti, ma non è mai come quello di casa, o il profilo delle montagne.
Ci mancano le olive da raccogliere quando la stagione arriva, l’odore del frantoio e il pizzicore in gola che lascia l’olio nuovo sulla bruschetta.

Ma la cosa che veramente manca, più di ogni altra, forse anche più del buon cibo, è, e non dovremmo sorprenderci, il bidet.

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1/4 di secolo e la calcolatrice per fare 2+2.

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