Autunno, stagione malinconica per eccellenza. Le foglie cadono, il paesaggio assume tonalità meravigliose e tutto attorno si colora di poesia, in quel quadro sublime che da sempre dispensa ispirazione agli artisti e non lascia indifferenti neppure gli sguardi più distratti.
Diametralmente opposto alla primavera per posizione e temperatura, l’autunno è una stagione indecisa: in bilico tra i più torridi giorni d’estate e le più rigide notti invernali, in continua oscillazione, come le foglie delle sue piante sempre più spoglie.
L’autunno è un’illusione, un’aspettativa delusa, una promessa mancata, una primavera tradita, il sole gelido dell’estate di San Martino; un inganno, l’inganno di una vita giunta al termine del suo percorso. È l’età più avanzata che siede con aria malinconica su una vecchia sedia a dondolo in attesa che la morte venga a prenderla, alleggerendola del peso di tutte le pene inevitabilmente accumulate negli anni, regalando all’anima quel tanto agognato riposo.
L’autunno non teme la morte. Ne costituisce, piuttosto, la preparazione. È un ponte sospeso tra la vita e la morte e ci aiuta ad accettare quest’ultima come parte integrante dell’esistenza.
L’autunno non è solo una stagione, è una condizione congenita dell’anima.
Sono nata in un giorno o ˗ meglio ˗ in una sera d’autunno e ne ho ereditato il carattere nostalgico, quel perenne sentimento di “dolce tristezza” che ho imparato a vedere come inseparabile compagno di viaggio, una certa predilezione per il lato oscuro, l’imbrunire, le crepe presenti in ogni aspetto del vivere.
Sono una figlia d’autunno, con la mente costantemente rivolta alla primavera che è stata o che ˗ forse, in realtà ˗ non è mai stata e riappare sotto mentite spoglie tra i ricordi camuffati dai fili invisibili di una memoria burattinaia.
Sono una foglia d’autunno, perennemente in bilico fra la disillusione più convinta e la speranza sempre viva di una nuova illusione, determinatamente incerta, pienamente consapevole di finire a terra, ma infinitamente libera in quel fluttuare.
Eccomi qua, oggi. Sola, come sempre. Sola, più che mai. Un giorno d’autunno. Solo una data. Solo un numero. Un anno in più. Troppo pochi ˗ sembrerebbe ˗ per tutto questo disincanto. Troppi ˗ di fatto ˗ per credere ancora alle favole. Solo una candelina a ricordare che oggi è un giorno diverso. In posizione di partenza, scalpitante, ancora lui: un unico desiderio. Lo stesso, inesaudibile desiderio di ogni anno, di ogni candelina, di ogni luce siderale d’agosto, di ogni ciglio inconsapevolmente volato sul viso.
Un soffio. Il buio, ancora una volta. Davanti a me, 364 giorni comuni.