The Haunting of Bly Manor e il fantasma di Hill House

The Haunting of Bly Manor e il fantasma di Hill House

Volevo essere tra i primi a scrivere una recensione di The Haunting of Bly Manor, seconda stagione della serie antologica by Netflix iniziata con The Haunting of Hill House, ma poi come al solito ho dovuto interiorizzare alcuni aspetti che non mi erano completamente andati giù e, ovviamente, ho perso tempo.

A distanza di due anni dal primo capitolo, The Haunting ritorna con 9 episodi, rilasciati in contemporanea su Netflix, pronti per il bingewatching potente. Le mie aspettative, come è stato per la terza stagione di Dark (uscita a giugno 2020, di cui trovate la recensione qui) erano più che alte. Il motivo, probabilmente, è che nel 2018 Hill House e Dark erano state le due serie che avevano reso quell’anno degno di essere uno dei migliori dal punto di vista delle produzioni seriali di Netflix.

Non ho mai recensito Hill House perché non sono mai riuscita a trovare parole che potessero esprimere al meglio i miei sentimenti nei suoi confronti. Io, che ho sempre trovato parole per tutto, che ho sempre amato definire anche l’indefinibile usando parole ricercate per poter trasmettere ciò che penso, non sono riuscita a trovare nient’altro che una piccola, breve e semplice parola per descrivere Hill House: poesia.

Questa definizione va anche oltre la definizione inflazionata di capolavoro. Hill House, per me, è stata più che un capolavoro. Qualcosa di cui tutt’ora faccio fatica a parlare perché ci sarebbero così tante emozioni da prendere in considerazione che diventerebbe estremamente complesso. Ecco perché, appunto, non ne ho mai scritto una recensione ma ne ho sempre parlato come una delle cose più belle che abbia mai visto.

Lo stesso, purtroppo, non posso affermare di Bly Manor.

The Haunting of Bly Manor parte con un presupposto ben preciso e con un peso non indifferente: è la seconda stagione di una serie antologica, segue un capitolo che è stato amato da gran parte della critica, di cui condivide anche mezzo cast ed è liberamente tratta da una delle storie di fantasmi più famose della storia, Il Giro di Vite di Henry James. Insomma, c’era un po’ di pressione nell’aria.

La serie parte in modo eccellente, i primi episodi rispecchiano il racconto originale (anche se ci tengo a precisare che nessuno si aspettava che tutto andasse nello stesso identico modo, il che non deve essere necessariamente un male), c’è tensione, c’è inquietudine e anche una certa voglia di accendere le luci in casa pure a mezzogiorno.

Bly Manor è il tipo di casa che piace a me: enorme, con tante stanze in cui mostri e fantasmi possono nascondersi senza problemi, un’ala “proibita”, una chiesa privata che aggiunge quell’alone di mistero, siepi super curate e, per non farci mancare proprio nulla, anche un lago pieno di nebbia e di erbacce che lo circondano.

L’arrivo dell’istitutrice Danielle Clayton a Bly Manor è perfettamente in linea con quanto ci aspettavamo e l’incontro con Flora è da brividi al punto giusto. Tutto fila in modo perfettamente splendido fino al quinto episodio, momento in cui ho pensato che forse questa stagione sarebbe stata al livello della precedente (anche se mai più bella, ma questo già lo sapevo). Dopo di che, negli ultimi episodi prima del finale, la narrazione è andata un po’ scemando.

Non voglio mentire, a me Bly Manor è piaciuto, specie per alcune sequenze che ho trovato meravigliose per quanto inquietanti e ben fatte, ma l’inevitabile paragone con la stagione precedente mi vede un po’ delusa. Sarà che mi aspettavo, come tutti, una storia di fantasmi concentrata sul tema della perdita, come era stato per Hill House, il cui perno era l’inevitabilità della morte, e mi sono ritrovata davanti ad una storia fatta di fantasmi interiori e, paradossalmente, di fantasmi più vivi che mai.

Mi spiego meglio: in Hill House, ciò che alla fine ha portato la mamma dei bambini ad impazzire era il suo desiderio (guidato dai fantasmi della casa) di svegliare i suoi figli da quello che lei riteneva un incubo. Il risveglio sarebbe stato, ovviamente, la loro morte, che avrebbe fatto sì che sarebbero rimasti intrappolati nella casa con la mamma, che li avrebbe potuti accudire per sempre prendendosi cura di loro e sottraendoli a quei terribili futuri a cui Luke e Nelly andavano incontro.

In Bly Manor è quasi l’opposto. I fantasmi di Bly Manor vogliono vivere, vogliono impossessarsi dei vivi per evitare di finire intrappolati in un sogno senza fine che li porterebbe ad essere dimenticati da tutti ma anche, e soprattutto, da se stessi, in un purgatorio descritto egregiamente dall’ottavo episodio (momento in cui la narrazione torna ad essere interessante e uno degli episodi più belli e poetici di questa nuova stagione).

Allora qual è il problema con questa stagione? Si è dato, a parer mio, troppo spazio alle storie d’amore rispetto ai fantasmi. Non è necessariamente un male, ma è diverso da ciò che mi aspettavo. Bly Manor ha un tipo di horror diverso da quello di Hill House. Meno colpi di scena, meno jump scare, ad un certo punto anche molta meno inquietudine. In pratica, in Bly Manor si vede più il fantasma di Hill House che i fantasmi della storia stessa. 

Mi sento di dire che forse era proprio il taglio che gli sceneggiatori hanno voluto dare alla stagione, dopo una stagione tetra come la prima, la seconda offre qualche spiraglio di luce in più, come l’ultima inquadratura dove vediamo la mano di Dany sulla spalla dell’amata Jamie, che a distanza di anni lasciava la porta aperta per consentire al fantasma dell’amata di poterla ritrovare. E’ stato davvero molto bello e toccante, ma non mi è piaciuto che la faccenda dei bambini e dei due spiriti di Peter e Rebecca si sia risolta con così poco tempo, come se fosse una forzatura.

Probabilmente il vero difetto di questa stagione è stato perdersi in alcuni episodi quando avrebbero potuto sfruttarli meglio per definire alcuni aspetti della trama che non sono stati spiegati e che secondo me avrebbero avuto bisogno di una spiegazione. Ad esempio spiegare come facevano i bambini a sapere della donna del lago, quale fosse il rapporto tra le bambole e la loro posizione rispetto ai fantasmi della casa. Io, personalmente, avrei azzardato anche con la morte di uno dei due bambini o con una scoperta finale alla The Others, in cui si scoprono tutti morti, ma mi rendo conto che forse sarebbe stata un pelino più scontata e probabilmente è giusto che sia terminata così.

In definitiva, Bly Manor è una storia di fantasmi ma, come ci ricorda anche Flora alla fine, è anche una storia d’amore. Talvolta le due cose coincidono. In Bly Manor avrebbero potuto coincidere meglio, secondo me, perché alla fine mi ha lasciata con un senso di insoddisfazione, nonostante il finale vero e proprio molto poetico. Il problema però resta questa sensazione di insoddisfazione che non mi fa essere pienamente felice di questa seconda stagione.

Menzione a parte per il cast, di altissimo ed ottimo livello dal primo all’ultimo attore. Di quelli che tornano da Hill House, Victoria Pedretti è una delle scoperte più piacevoli che ho fatto in questi due anni, ma non possiamo non menzionare l’immensa Carla Gugino che buca lo schermo anche con pochissime scene, Oliver Jackson-Cohen (ebbene sì, la mia nuova celebrity crush), Henry Thomas che mi incute terrore nonostante il viso angelico dato che interpretava Elliot in ET e io ne sono sempre stata terrorizzata, e la bellissima Kate Siegel che nell’episodio a lei dedicato ipnotizzerebbe anche qualcuno che non la guarda negli occhi. Ma anche tanti attori nuovi come T’nia Miller, che mi ha fatto innamorare del suo personaggio, la signora Grose, Rahul Kohli nei panni del dolcissimo Owen, Tahirah Sharif come volto della defunta Rebecca Jessel e Amelia Eve nei panni della giardiniera Jamie, personaggio apparentemente di poco rilievo ma che poi si dimostra tutt’altro che marginale. E ovviamente i due giovanissimi attori Amelia Bea Smith e Benjamin Evan Ainsworth, che interpretano in modo eccellente i due fratelli Wingrave.

Mi auguro che The Haunting vada avanti e sono consapevole del fatto che la sfida di una serie antologica sia proprio quella di avere a che fare ogni stagione con una storia diversa che può piacere e non piacere. So perfettamente che non avrei mai potuto avere una copia di Hill House, perché sarebbe stato inutile, ma purtroppo so anche che ogni stagione futura, per quanto bella e ben fatta, risentirà pesantemente del fantasma della prima, perfetta e poetica stagione.

 

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Ventotto anni, appassionata di viaggi e letteratura e con il sogno nel cassetto di diventare scrittrice. Nel frattempo scrivo racconti nell'attesa dell'ispirazione per creare qualcosa di migliore, venero i ravioli cinesi e mi drogo di serie TV.

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